Il dipendente, condannato per ingiurie al capo, non può essere licenziato su due piedi. Per quanto il suo comportamento possa essere stato grave, dice la Cassazione, gli deve essere garantita ”la possibilità di difendersi” dalle accuse per potere ”dare le giustificazioni che egli assume rilevanti nell’ambito del rapporto di lavoro”.In questo modo la sezione Lavoro (sentenza 9422) ha respinto il ricorso del titolare di una ditta di ascensori in Abruzzo che aveva licenziato in tronco il dipendente Gianfranco P. colpevole di averlo ingiuriato e minacciato. Una testa calda Gianfranco P. che, proprio per il comportamento rissoso col capo, era stato condannato in sede penale per ingiuria. Da qui il licenziamento in tronco del suo datore di lavoro Ennio T.Reintegrato sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello dell’Aquila, nell’agosto 2008, Gianfranco P. rimarraànell’azienda anche su ordine della Cassazione. Almeno fino a quando non avrà chiarito la sua posizione.In proposito, i supremi giudici scrivono che ”il licenziamento motivato da una condotta colposa o comunque manchevole del lavoratore, indipendentemente dalla sua inclusione o meno tra le misure disciplinari della specifica disciplina del rapporto, deve essere considerato di natura disciplinare e, quindi, assoggettato alle garanzie dettate in favore del lavoratore”.Irrilevante che ”il comportamento del dipendente sia stato ritenuto reato dal giudice penaleatteso che tale evenienza, se vale a qualificarne l’illiceità, non esclude che al lavoratore incolpato debba essere contestato l’accaduto”. E questo per consentirgli ”di dare le giustificazioni che assume rilevanti nell’ambito del rapporto di lavoro”. Da qui il rigetto del ricorso del capo dell’azienda insultato dal suo dipendente.