“Lei non sa chi sono io, la pagherà”
Con la sentenza di oggi la Cassazione torna per la seconda volta a sottolineare l’inopportunità di ricorrere a un modo di dire che è indice di arroganza e maleducazione e spesso, anche di fantasia. La prima volta lo ha fatto, con la sentenza numero 138 del 2006, confermando una sanzione disciplinare a carico di un avvocato. Il legale non aveva gradito che una dipendente dell’ordine degli avvocati, intenta a fare le fotocopie, avesse dimenticato di accoglierlo come meritava. Attenzioni che aveva “garbatamente” richiesto dicendo alla signora: «Si deve mettere da parte e darmi la precedenza. Lei non sa chi sono io? Qui è diventato un mercato, una volta si diceva, prego avvocato si accomodi». Nella condanna gli ermellini avevano considerato anche che l’avvocato, nel suo sproloquio, non aveva usato il titolo di dottoressa.