La sentenza smentisce l’orientamento della giurisprudenza.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione (la 232 del 12 gennaio 2012) smentisce l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito in materia di somministrazione di mano d’opera.
Secondo la sentenza è legittimo un contratto di somministrazione che reca come causale l’esigenza di far fronte a “punte di intensa attività”, in quanto questo tipo di esigenza è noto e sperimentato nella pratica contrattuale, ed è stato più volte utilizzato anche dalla legge. Questa lunga tradizione applicativa, secondo la pronuncia, consente di affermare che tale causale è automaticamente riferibile a esigenze aziendali di flessibilità del lavoro. In virtù di questa caratteristica, le “punte di intense attività” sono sicuramente ascrivibili nel novero di quelle esigenze (produttive, organizzative, tecniche o sostitutive) che la legge considera come lecite ai fini della stipula di un contratto di somministrazione.
Ovviamente, osserva la Corte, alla causale indicata nel contratto deve corrispondere in concreto la realtà aziendale cui la stessa fa riferimento. “Pertanto, il datore di lavoro che allega l’esistenza di punte di più intensa attività deve dimostrare che, in concreto, nei periodi di utilizzo del lavoratore somministrato, l’attività produttiva ha avuto un’intensificazione che ha reso necessario il ricorso a questo strumento contrattuale.
“La Cassazione aveva già anticipato questa forma di ragionamento, seppure in maniera meno netta rispetto all’odierna pronuncia, con la sentenza 15610/2011. In tale occasione era stato osservato che l’articolo 20, comma 4 del D.Lgs. 276/2003, nella parte in cui richiede l’indicazione delle causali, ha introdotto una causale ampia, non legata a specifiche situazioni tipizzate dal legislatore o dal contratto collettivo, sulla base della quale on deve essere verificata la temporaneità o la eccezionalità delle esigenze organizzative richieste per la somministrazione a termine (ma, piuttosto, solo l’effettiva esistenza delle esigenze alle quali si ricollega l’assunzione del singolo dipendente).
L’interpretazione fornita dalla Suprema corte segna una discontinuità con la prevalente giurisprudenza di merito, che in questi anni ha ritenuto di rielaborare le norme che regolano la somministrazione di mano d’opera sulla base di criteri più restrittivi rispetto a quelli desumibili dal testo letterale della legge.
Così, a fronte di una normativa (il D.Lgs. 276/2003) che non dice nulla al riguardo, è stato elaborato un criterio giurisprudenziale in virtù del quale la causale nei contratti di somministrazione dovrebbe essere necessariamente specifica, in quanto solo tale specificità consentirebbe un controllo giudiziale circa l’effettiva esistenza della casuale.
Il corollario di tale interpretazione è che la causale generica determina la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’impresa utilizzatrice.
“Da notare che questo orientamento, prima della sentenza della Corte di Cassazione, aveva mostrato alcune crepe nell’ultimo biennio, quando alcuni Tribunale, facendo leva anche sulla direttiva comunitaria 104/2008, hanno proposto una lettura diversa della fattispecie, evidenziando che non esiste alcuna norma di legge che richiede la causale specifica ai fini della validità del contratto.