L’acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto, non commette illecito penale. Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n.22225 / 2012) spiegando che non si può configurare una responsabilità a titolo di ricettazione (di cui all’art. 648 del codice penale) e neppure una responsabilità per acquisto di cose di sospetta provenienza (fattispecie disciplinata dall’articolo 712 del codice penale). Insomma chi compra il prodotto con marchio contraffatto potrebbe solo incorrere in un illecito amministrativo (quello previsto dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in l. 14 maggio 2005, n. 35, nella versione modificata dalla legge 23 luglio 2009, n. 99). Questa norma, spiega la Corte, va considerata prevalente (per la sua “specialità”) sia rispetto al delitto sia rispetto alla alla contravvenzione previsti dal codice penale.
Questa prevalenza si fonda sulle seguenti ragioni:
La prima è quella riferita al soggetto agente. Come fa notare la Corte, infatti, per i reati previsti dal codice penale il soggetto agente può essere chiunque mentre l’illecito amministrativo è riferibile solo all’acquirente finale.
La seconda ragione è da ricercarsi nella natura dell’oggetto stante la maggiore specificità delle “cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale”. Le norme del codice si riferiscono invece a cose “provenienti da delitto”.
La terza ragione è data dal rilievo che nella norma manca l’inciso “senza averne accertata la legittima provenienza”, e ciò consente di allargare l’ambito di applicazione dell’elemento psicologico dell’agente.