E’ quanto affermato, con la sentenza n. 11161 del 4 luglio scorso, dalla Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione. Gli Ermellini, sulla scorta del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, hanno difatti osservato che i contratti collettivi di diritto comune, costituendo manifestazione dell’autonomia negoziale degli stipulanti, operano esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti, atteso che l’opposto principio di ultrattività sino ad un nuovo regolamento collettivo – secondo la disposizione dell’art. 2074, cod. civ. – ponendosi come limite alla libera volontà delle organizzazioni sindacali, sarebbe in contrasto con la garanzia prevista dall’art. 39 della Costituzione. Pertanto, a seguito della naturale scadenza del contratto collettivo, in difetto di una regola di ultrattività del contratto medesimo, la relativa disciplina non è più applicabile, ed il rapporto di lavoro da questo in precedenza regolato resta disciplinato dalle norme di legge, salvo che le parti abbiano inteso, anche solo per facta concludentia, proseguire l’applicazione delle norme precedenti. In definitiva, secondo la Corte, devono essere le parti sociali a mostrare, anche con fatti concludenti, la volontà di continuare ad applicare le disposizioni scadute. Al contrario, di norma, alla scadenza del contratto collettivo, troveranno applicazioni le disposizioni di legge.