Dopo aver precisato che il danno morale non può essere ravvisato in re ipsa, ma deve essere dimostrato, anche se con il mero riferimento a circostanze idonee a fornire elementi presuntivi o fondati sulla comune esperienza e che il giudice è tenuto ad indicare gli elementi che a suo avviso dimostrano l’esistenza dei danni morali e giustificano l’entità delle somme liquidate in riparazione (anche solo con riferimento ai criteri equitativi di valutazione), la Terza sezione civile della Suprema corte di Cassazione ha affermato che nell’ipotesi in cui difetti un rapporto di convivenza la prova dell’effettiva sussistenza e risarcibilità dei danni morali deve essere fornita in termini particolarmente rigorosi, tramite la deduzione e la dimostrazione di altre specifiche circostanze idonee a giustificare la sussistenza di vincoli affettivi meritevoli di compensazione in denaro.
Invero, spiegano i Giudici, al di fuori del ristretto ambito della famiglia nucleare, la situazione di convivenza è il connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, che si possono ritenere caratterizzate da autentici e reciproci legami affettivi, dalla pratica della solidarietà e dal sostegno economico, per cui in mancanza di un rapporto di tal guisa la prova dell’effettiva risarcibilità dei danni morali richiesti deve essere fornita in termini particolarmente rigorosi allegando ed indicando specifiche circostanze idonee a giustificare la sussistenza di vincoli affettivi meritevoli di risarcimento in caso di lesione.