Con la pronuncia in rassegna, gli Ermellini hanno ribadito che, posta la continuità del possesso ai sensi dell’art. 1146 cod. civ., l’usucapione del bene comune non necessità di interversione del titolo del possesso, ma richiede che il compossessore, che già possiede animo proprio ed a titolo di comproprietà, sia tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, occorrendo a tal fine un godimento del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più in uti condominus, non essendo sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall’uso della cosa comune. In altri termini, prosegue la Corte, in tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all’esercizio del possesso ad usucapionem e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell’altro compossessore, risultando necessario, a fini della usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res communis da parte dell’interessato attraverso un’attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene.