La S.C. ha così statuito in tema di malattie professionali con la sentenza 04/06/08 n. 14770:
“Anche nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 cod. pen., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera diretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato
l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge (Cass. 16/06/01 n. 8165, 29/05/04 n. 10448, 08/10/07 n. 21021)”.
Versandosi in tema di rapporto contrattuale la fattispecie è regolata dall’art. 1218 cc, il quale stabilisce che “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Versandosi inoltre nell’ipotesi di rapporto di lavoro, deve trovare applicazione l’art. 2087 cc, considerato norma di chiusura, secondo il quale “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Su questa questione è intervenuta più volte la Suprema Corte, la quale, in relazione alla distribuzione dell’onere della prova, così ha stabilito:
- – 20/06/03 n. 9909: “Per quanto l’art. 2087 cc non configuri un’ipotesi di responsabilità oggettiva ai fini dell’accertamento della responsabilità del rapporto di lavoro, al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute incombe l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso causale fra questi due elementi. Quando il lavoratore abbia provato tali circostanze, grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno”;
- – 02/09/03 n. 12789: “Non configurando l’art. 2087 cc un’ipotesi di responsabilità oggettiva – in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenza sperimentali o tecniche del momento – ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, incombe al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno come pure di allegare la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, senza che occorra, in mancanza di qualsivoglia disposizione in tal senso, anche la indicazione delle norme antinfortunistiche violate o delle misure non adottate, mentre, quando il lavoratore abbia provato quelle circostanze, grava sul datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno”;
- – 25/05/06 n. 12445: “Nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno patito dal lavoratore in conseguenza della violazione, da parte del datore di lavoro, dell’art. 2087 cc, il lavoratore ha il solo onere di provare la condotta illecita e il nesso causale tra questa e il danno patito, mentre incombe sul datore di lavoro – ex art. 1218 cc – l’onere di provare la propria assenza di colpa”.
In applicazione di tali giudizi giurisprudenziali (conformi anche Cass. 1203/04, 6724/04, 4840/06) la Sezione Lavoro della Corte d’Appello di Torino ha a sua volta così statuito:
- – 28/11/06-24/01/07 n. 1861/06: “Il disposto dell’art. 2087 cc – avente una funzione sussidiaria ed integrativa delle misure protettive da adottare a garanzia del lavoratore – abbraccia ogni tipo di misura utile a tutelare il diritto soggettivo dei lavoratore ad operare in un ambiente esente da rischi, così come è stato posto in rilevo dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 399/96, che ha ricordato come “la salute sia un bene primario che assurge a diritto fondamentale della persona” ed il cui presidio attiene alla generale e comune pretesa dell’individuo a condizione di vita di ambiente di lavoro che non pongano a rischio questo suo bene essenziale”;
- – 27/11/08-20/01/09 n. 1225/08 (doc. n. 34) “La corretta ripartizione dell’onere probatorio nelle controversie aventi ad oggetto infortuni sul lavoro e malattie professionali discende direttamente dall’inquadramento della responsabilità datoriale all’interno della categoria della responsabilità contrattuale, responsabilità derivante dall’inadempimento all’obbligo di sicurezza introdotto dall’art. 2087 cc. La qualificazione della responsabilità del rapporto di lavoro per inadempimento dell’obbligo di sicurezza prevista dall’art. 2087 cc come responsabilità di natura contrattuale deriva da un lato dalla considerazione che un contenuto del contratto individuale di lavoro risulti integrato per legge (art. 1374 cc) dall’art. 2087 cc e dall’altro dal fatto che la responsabilità contrattuale è configurabile tutte le volte che risulti fondata sull’inadempimento di un’obbligazione giuridica preesistente comunque assunta dal danneggiante nei confronti del danneggiato (Cass. 12445/06, 8386/06, 4184/06, 9817/08). Nelle azioni derivanti da responsabilità contrattuale il creditore è tenuto a provare l’esistenza dell’obbligazione e a dedurre l’inadempimento del debitore il quale è gravato della presunzione di colpa. In applicazione di questa regola nelle controversie aventi ad oggetto il risarcimento del danno o malattia il lavoratore deve dimostrare il danno e la riconducibilità eziologica del danno stesso all’inadempimento dell’obbligo di sicurezza mentre il datore di lavoro deve provare la non imputabilità dell’inadempimento. La regola di giudizio è quindi estremamente chiara. Come è stato costantemente affermato dalla cassazione al lavoratore che lamenti di aver subito a causa dell’attività lavorativa svolta un danno alla salute incombe l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso causale tra questi due elementi mentre grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno (cass. 9817/08, 16881/06, 11932/04)”.