“L’inammissibilità della prova testimoniale, ai sensi degli artt. 2722 e 2723 cod. civ., derivando non da ragioni di ordine pubblico processuale, quanto dall’esigenza di tutelare interessi di natura privata, non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata, prima dell’ammissione del mezzo istruttorio; qualora, peraltro, nonostante l’eccezione d’inammissibilità, la prova sia stata egualmente espletata, è onere della parte interessata eccepirne la nullità, nella prima istanza o difesa successiva all’atto, o alla notizia di esso, ai sensi dell’art. 157, secondo comma, cod. proc. civ., l’una eccezione, quella d’inammissibilità, non dovendo essere confusa con l’altra, quella di nullità, né potendo ad essa sovrapporsi, perché la prima eccezione opera “ex ante”, per impedire un atto invalido, mentre la seconda agisce “ex post”, per evitare che i suoi effetti si consolidino”.
Questa è la massima estrapolata dalla sentenza nr. 21443 resa dalla Seconda Sezione Civile della Cassazione, depositata il 19 settembre 2013.
Con tale pronuncia gli ermellini sono intervenuti in una controversia in materia di appalto privato. L’occasione ha offerto lo spunto per importanti puntualizzazioni in tema di ammissibilità della prova testimoniale, con particolare riguardo ai profili delle relative eccezioni e contestazioni.
La pronuncia trae origine dalla controversia sorta tra una società appaltatrice che, a seguito di contestazioni, ha convenuto in giudizio la committente per sentirla condannare al pagamento della somma di circa 25.000,00 euro, a titolo di corrispettivo per la ristrutturazione edilizia di un appartamento.
La committente costituitasi in giudizio si è difesa eccependo la sussistenza di vari difetti dell’opera e con domanda riconvenzionale chiedeva la riduzione del corrispettivo e il risarcimento del danno.
In primo grado il Tribunale da un lato riduceva il corrispettivo a circa euro 8.000,00; dall’altro rigettava la richiesta di risarcimento dei danni.
La committente proponeva appello avverso tale decisione, ma questo veniva respinto. Non restava altra via pertanto che confezionare un ricorso alla Corte di Cassazione.
Il motivo principale a sostegno della tesi del ricorrente muoveva dalla considerazione che la Corte d’appello, dopo aver ammesso ed espletato la prova per testi circa la sussistenza di un accordo tra le parti avente ad oggetto un termine di 30 giorni per la consegna delle opere, ha contraddittoriamente ed inaspettatamente ritenuto inammissibile il medesimo mezzo di prova, disattendendo le proprie precedenti determinazioni.
Al riguardo, peraltro, veniva anche contestato che la controporte (appaltatrice) non avesse mai eccepito l’inammissibilità della prova, in considerazione del fatto che il Collegio non avrebbe potuto rilevarla d’ufficio.
La Corte di Cassazione, investita della questione, ha richiamato un proprio orientamento granitico nel ritenere che le limitazioni poste dagli artt. 2721 e ss. c.c. all’ammissibilità della prova testimoniale non attendono a ragioni di ordine pubblico, ma sono dettate a tutela di interessi di natura privatistica.
Una siffatta interpretazione comporta pertanto, che la loro violazione non solo non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma neppure è rilevabile dalla parte ove non sia stata dedotta in sede di ammissione della prova stessa, ovvero nella prima istanza o difesa successiva, o, ancora, in sede di espletamento della stessa.
In aggiunta i giudici della Suprema Corte hanno osservato che qualora la prova testimoniale sia stata ammessa nonostante l’eccezione di inammissibilità della controparte, quest’ultima ha l’onere di eccepire (ex art. 157, comma 2, c.p.c.), subito dopo il compimento dell’atto, la nullità della prova assunta.
Si ricorda a tal proposito l’importanza di non confondere l’eccezione, di inammissibilità con quella di nullità, attesi la diversa situazione di partenza e di interessi che vi sottostanno.
L’eccezione di inammissibilità della prova, infatti, opera ex ante per impedire un atto invalido. L’eccezione di nullità della prova assunta, invece, agisce ex post, per evitare che gli effetti della prova si consolidino nella successiva decisione del giudicante.
Su tali ineludibili premesse la Corte ha avuto modo di affermare che l’inammissibilità della prova testimoniale ai sensi degli artt. 2722 e 2723 c.c., derivando non da ragioni di ordine pubblico processuale, ma dall’esigenza di tutelare interessi di natura privata, non può essere rilevata d’ufficio, ma solo eccepita dalla parte interessata prima dell’ammissione del mezzo istruttorio. Una volta espletato il quale, è possibile soltanto dichiarare la nullità della prova assunta, se la medesima parte sollevi tempestivamente la relativa eccezione nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso. Per tali motivi la sentenza del giudice di appello, “reo” di aver rilevato d’ufficio l’inammissibilità della prova testimoniale già assunta (avente ad oggetto un patto non scritto successivo alla stipula del contratto), è stata cassata.