L‘assegno a carico dell’eredità in favore del coniuge in precedenza beneficiario dell’assegno di divorzio postula lo stato di bisogno. Come ha sottolineato la dottrina, il carattere alimentare dell’assegno di cui all’art. 9 bis, l. divorzio, è difficilmente contestabile, sia per il riferimento allo stato di bisogno, “sia per la previsione testuale della caratteristica più significativa degli alimenti, cioè la possibilità che il diritto nasca e, ove cessato, risorga in corrispondenza della situazione di bisogno”. Si tratta di un assegno avente natura assistenziale, distinto da quello di divorzio – che ne costituisce il presupposto giuridico – fondato sui principi solidaristici posti dall’art. 2 della Costituzione a base del nostro ordinamento, alla luce dei quali la normativa che lo prevede deve essere interpretata. Esso è diretto a garantire al coniuge divorziato, che venga a trovarsi in uno stato di bisogno per essere rimasto privo dell’assegno di divorzio a seguito della morte dell’obbligato (il quale abbia lasciato beni ereditari), di sopperire al venir meno di detto assegno. Va inquadrato, pertanto, tra gli istituti che il legislatore del divorzio ha previsto al fine di apprestare tutela, dopo lo scioglimento del vincolo coniugale, al coniuge che in conseguenza di tale scioglimento venga a subire un deterioramento delle sue condizioni economiche (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9185/2004).
Il predetto assegno a carico dell’eredità va quantificato in relazione al complesso degli elementi espressamente indicati nello stesso art. 9 bis l. div., cioè tenendo conto, oltre che della misura dell’assegno di divorzio, dell’entità del bisogno, dell’eventuale pensione di reversibilità, delle sostanze ereditarie, del numero e della qualità degli eredi e delle loro condizioni economiche.