Con la pronuncia indicata in rassegna, la Terza sezione civile della Suprema Corte di Cassazione ha osservato che, in linea di principio, l’onere della prova della mancata custodia dei dati sensibili è a carico del danneggiante, come disposto dall’art. 2050, cod. civ.. Ciò vale, spiega la Corte, senza alcun limite nei casi in cui le notizie riservate non fossero note, prima della loro diffusione. Ove, invece, come avvenuto nel caso di specie, le notizie che si assumono illecitamente diffuse siano già pubblicamente note il danneggiato è tenuto a dimostrare, o quanto meno ad indicare elementi presuntivi idonei a motivare la convinzione che la divulgazione sia riconducibile al danneggiante, e non alle altre fonti che abbiano in precedenza pubblicato le medesime notizie. In particolare, gli Ermellini hanno avuto cura di precisare che il fatto che le notizie che si assumono illecitamente diffuse dai convenuti fossero già, nel caso di specie, pubblicamente note rileva non quale causa di giustificazione e di esonero da responsabilità per l’omessa custodia dei dati, ma quale circostanza che obiettivamente infirma la riconducibilità della divulgazione al comportamento del danneggiante, per cui grava su colui che proponga domanda di risarcimento per la divulgazione dei dati personali sensibili assolvere all’onere della prova dell’illecito.