In linea con l’interpretazione offerta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 303/2011, anche ad avviso della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, l’indennità di cui all’art. 32 della Legge n. 183/2010 deve intendersi quale sorta di penale “ex lege” a carico del datore di lavoro per la nullità del termine apposto al contratto di lavoro.
L’articolo 32 della Legge n. 183/2010 dispone, al comma 5, che “nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra uni minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 della Legge 15 luglio 1966 n. 604” ed al comma 6 che “in presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di, specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà”. Ebbene, aderendo all’orientamento consolidatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità dopo la nota pronuncia n. 303/2011 del Giudice delle leggi, la Corte – con la sentenza qui in commento – ha ribadito che, in tema di risarcimento del danno per i casi di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato, lo “ius superveniens” ex art. 32, commi 5, 6 e 7, della Legge n. 183/2010 (applicabile nel giudizio pendente in grado di legittimità qualora pertinente alle questioni dedotte nel ricorso per cassazione) configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale, una sorta di penale “ex lege” – in stretta connessione funzionale con la declaratoria di conversione del rapporto di lavoro – a carico del datore di lavoro per la nullità del termine apposto al contratto di lavoro. Pertanto, proseguono gli Ermellini, l’importo dell’indennità è liquidato dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dalla novella, a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore (senza riguardo, quindi, all’eventuale “aliunde perceptum”), trattandosi di indennità “forfetizzata” e “onnicomprensiva” per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo, cosiddetto “intermedio”, nel periodo che va cioè dalla scadenza del termine fino alla sentenza che ne accerta la nullità e dichiara la conversione del rapporto.