Fallimento del datore di lavoro e competenza del giudice
Cassazione civile , sez. lavoro, sentenza 02.02.2010 n° 2411 (Manuela Rinaldi)
Dopo il fallimento il riconoscimento del credito è dinanzi al giudice fallimentare: per le cause di lavoro giudizi separati se interviene il fallimento del datore di lavoro.
Il prestatore di lavoro, infatti, che voglia vedersi riconoscere il proprio credito (con il relativo grado di prelazione), deve proporre la domanda, insinuandosi al passivo del fallimento, davanti al giudice fallimentare e non al giudice del lavoro, al quale la competenza rimane in caso di impugnativa del licenziamento.
E’ quanto ha precisato di recente la Suprema Corte con l’ordinanza n. 2411/2010, in cui è stato precisato che “una volta intervenuto il fallimento del datore di lavoro le relative domande devono essere proposte come insinuazione nello stato passivo davanti al giudice fallimentare, il cui accertamento è l’unico titolo idoneo per l’ammissione allo stato e per il riconoscimento di eventuali diritti di prelazione”.
Da ciò deriva che nel caso in cui vengano proposte con il rito speciale del lavoro sia domande nei confronti di una società fallita che di una società in bonis, il giudice adito non dovrà “limitarsi” a dichiarare la propria incompetenza, ma dovrà dichiarare improcedibili le domande avanzate nei confronti della società fallita, esaminando, altresì, quelle proposte nei confronti della società in bonis, con l’unica eccezione al principio generale che la giurisdizione del lavoro rimane per la domanda di dichiarazione di illegittimità del licenziamento, anche nel caso in cui sia proposta nei confronti del fallito.