CASA CONIUGALE NELLE SEPARAZIONI E DIVORZI
L’assegnazione della casa coniugale è finalizzata a preservare, nel caso di separazione dei coniugi, la continuità delle abitudini domestiche nell’immobile costituente l’habitat familiare.
In modo particolare ha lo scopo di proteggere i figli (qualora ci siano) dal trauma di essere costretti a vivere lontano dal luogo dove fino a qual momento hanno condotto la loro esistenza.
Il legislatore non ha fornito una definizione di casa coniugale nonostante tale termine sia dallo stesso utilizzato.
I giudici distinguono due significati:
la casa intesa come il bene immobile in cui si è svolta la vita coniugale e familiare;
il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza inteso in senso psicologico come nucleo domestico.
La normativa relativa all’assegnazione della casa coniugale si riferisce a questa seconda interpretazione.
Caratteristiche della casa familiare sono: l’abitualità, la stabilità e la continuità nel godimento dell’immobile.
Conseguentemente oggetto di assegnazione è solo quell’immobile che sia stato centro di aggregazione durante la convivenza (escludendo seconde case o altri immobili di cui in coniugi potevano avere la disponibilità) comprendente anche tutto il complesso di beni mobili, arredi, suppellettili ed attrezzature orientato ad assicurare le esigenze della famiglia.
Il godimento della casa coniugale è finalizzato, in primo luogo, alla tutela della prole in quanto criterio preferenziale.
Ci si è posti il problema se la presenza e la convivenza di figli (minorenni o maggiorenni) costituisca una condizione essenziale per il giudice per emanare un provvedimento di assegnazione della casa in sede di separazione o se, viceversa, l’assegnazione possa essere disposta anche in assenza di figli (per esempio per equilibrare la posizione economica dei due coniugi separati).
Secondo alcuni giudici l’assegnazione della casa familiare deve rappresentare non solo uno strumento di garanzia e di tutela dai figli ma anche un modo per proteggere il coniuge che non abbia un reddito adeguato.
Altri giudici in prevalenza e più di recente, però, ammettono l’assegnazione della casa di famiglia solo in presenza di figli minorenni o maggiorenni conviventi, economicamente non autosufficienti (indipendentemente dal fatto che la casa sia di proprietà esclusiva di uno solo dei coniugi o in comproprietà).
Come già precisato, la presenza di figli è la condizione standard che permette l’assegnazione della casa coniugale.
I figli devono essere di entrambi i coniugi che stanno per separarsi, non comprendendosi, ai fini dell’assegnazione della casa familiare, i figli avuti da un precedente matrimonio (anche se conviventi con i coniugi che si stanno separando).
In altre parole, se uno dei coniugi aveva un figlio nato da un precedente rapporto, questi non viene preso in considerazione per valutare la sussistenza o meno del diritto di abitazione nella casa familiare.
I figli possono essere minorenni o maggiorenni ma, in quest’ultimo caso, non devono essere economicamente autosufficienti.
Solo quando i figli diventano autosufficienti (e maggiorenni) il provvedimento di assegnazione della casa familiare può essere revocato, in quanto è suscettibile di modifica al variare delle condizioni dei coniugi e dei figli.
Al coniuge (non proprietario) non spetta generalmente il diritto all’assegnazione della casa coniugale.
Tuttavia, la questione si complica nel caso in cui il diritto di abitazione serva ad equilibrare i rapporti economici tra i coniugi e a soddisfare l’eventuale diritto al mantenimento (sussistente anche se mancano figli).
Come già si è detto in precedenza, alcuni giudici ritengono che l’assegnazione della casa coniugale può essere richiesta al giudice nell’ambito della domanda di mantenimento, ma presuppone un’esplicita istanza, in mancanza della quale non sussiste in capo al giudice stesso un dovere (e un potere) di assegnarla.
La maggioranza dei giudici esclude tale possibilità poiché ritiene che il diritto al mantenimento può essere soddisfatto solo quantificando la somma di denaro da versare e il Giudice non può imporre al debitore di estinguere il suo obbligo con l’assegnazione della abitazione.
Qualificare la posizione giuridica del coniuge cui è assegnata la casa coniugale assume particolare rilevanza nel caso in cui l’altro coniuge sia il proprietario dell’immobile.
A tutela del’assegnatario è previsto espressamente che il provvedimento di assegnazione è suscettibile di trascrizione (è uno strumento per la soluzione di conflitti tra più soggetti acquirenti di diritti reali su determinati beni) nei registri immobiliari della Conservatoria (per renderlo opponibile a eventuali terzi che dovessero acquistare diritti sull’immobile).
Il diritto che l’assegnatario esercita sulla casa familiare viene fatto rientrare in tre categorie, a seconda dell’orientamento seguito:
diritto reale di abitazione (è il diritto di abitare una casa limitatamente ai bisogni della famiglia).
diritto del comodatario (il comodato è il contratto con cui una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinchè questa se ne serva per un tempo o uso determinato, con l’obbligo di restituirla) che giustificherebbe il diritto di servirsi della casa adibita a residenza familiare fino a che non vengano meno i presupposti.
diritto personale di godimento non previsto esplicitamente dall’ordinamento: la maggioranza dei giudici fa ricadere in questo schema il diritto del coniuge assegnatario, che trova la sua fonte nel provvedimento del giudice.
Nell’ipotesi in cui i coniugi siano comproprietari della casa familiare e abbiano adeguati redditi, il giudice non può assegnare la casa in modo esclusivo ad uno solo di essi: le parti devono determinarsi liberamente e, qualora non trovino un accordo, possono chiedere la divisione dell’immobile.
In alcuni casi, quando la situazione concreta lo consente (per esempio l’immobile è molto grande) i giudici hanno ammesso l’assegnazione parziale della casa familiare suddividendola tra i coniugi e dividendola in due separate unità abitative.
Il fine principale è quello di consentire ai figli minori di mantenere rapporti significativi e paritari con entrambi i genitori cui sono affidati.
L’assegnazione parziale non può essere disposta nei casi in cui l’immobile non sia materialmente divisibile, per struttura o per ridotte dimensioni, o anche quando vi sia tra i coniugi un’insanabile conflittualità.
Il diritto di godimento della casa familiare in capo al genitore affidatario vene meno quando l’assegnatario non abita o cessa di abitare stabilmente nella casa coniugale o conviva o contragga nuovo matrimonio.
La revoca può anche verificarsi quando vengono meno i presupposti che giustificano il provvedimento: per esempio, il raggiungimento della maggiore età e dell’autosufficienza economica dei figli o la morte del coniuge assegnatario.
L’estinzione del diritto di abitazione non è automatica o di diritto, ma deve sempre essere dichiarato dopo aver valutato l’interesse dei figli.