Cassazione civile Sezioni Unite, 27 febbraio 2013, n.4847.
“In tema di successione legittima, spettano al coniuge superstite, in aggiunta alla quota attribuita dagli art. 581 e 582 c.c., i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, di cui all’art. 540, comma 2, c.c., dovendo il valore capitale di tali diritti essere detratto dall’asse prima di procedere alla divisione dello stesso tra tutti i coeredi, secondo un meccanismo assimilabile al prelegato, e senza che, perciò, operi il diverso procedimento di imputazione previsto dall’art. 533 c.c., relativo al concorso tra eredi legittimi e legittimari e strettamente inerente alla tutela delle quote di riserva dei figli del de cuius”. La pronuncia in oggetto riguarda la soluzione di due importanti questioni del diritto delle successioni per cui si attendeva, in ordine al contrasto che era sorto in giurisprudenza, la pronuncia delle sezioni unite. La prima questione, già risolta in senso positivo dalla dottrina, concerne il riconoscimento o meno, in ambito di successione legittima, al coniuge superstite dei diritti di abitazione e di uso previsti dall’art. 540, 2 comma, c.c., relativo alla successione necessaria. La seconda, oggetto di contrastanti opinioni dottrinali e pronunce giurisprudenziali, riguarda la natura di tali diritti, ovvero, se debbano o meno aggiungersi alla quota intestata prevista dagli art. 581 e 582 c.c. Prima di affrontare nel merito la vicenda, è opportuno ricostruire, in chiave storica e sistematica la posizione successoria del coniuge, per come si è evoluta nel corso del tempo, a partire dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, per poi arrivare ai presupposti che hanno determinato la sentenza in commento.La famiglia, sia pure tradizionalmente intesa, non è una realtà immodificabile ma un organismo in continua evoluzione, si pensi alla sua nascita con il matrimonio, alla sua “crescita” con la nascita dei figli per poi tornare a ridursi quando questi raggiungono la maggiore età e acquistano la propria indipendenza, o, ancora, e sempre più frequentemente, conosce il prematuro scioglimento del rapporto tra genitori e spesso la costituzione, da parte dei medesimi di nuovi vincoli di coniugio.La l. 19 maggio 1975 n.151, ispirata per ovviare alla trasformazione della struttura e della funzione sociale della famiglia, nonché ai nuovi meccanismi di formazione e trasferimento della ricchezza familiare, ha inciso in maniera sostanziale sulla materia successoria, che ha visto modificata l’area di incidenza e quindi la sua funzione, ampliando sempre di più il divario tra il sistema successorio contenuto nel codice del 1942 e la nuova realtà sociale. La riforma ha mutato profondamente la disciplina successoria dei soggetti deboli e in particolare del coniuge aumentandone la tutela e l’importanza.Difatti, secondo il dettato codicistico del 1942, al coniuge superstite non era riservata una quota di eredità, ma una mera quota di usufrutto sui cespiti ereditari. Il testo originario dell’art. 581 c.c., al comma 1, disponeva che ”Quando col coniuge concorrano figli legittimi, soli o con figli naturali, il coniuge ha diritto all’usufrutto di una quota di eredità”. In altre parole, poteva subentrare nella piena proprietà dei beni solo qualora non vi fossero dei figli legittimi, ma in ogni caso, subendo il concorso dei parenti fino al quarto grado. Si trattava di diritti successori attribuiti solo in caso di successione legittima, non anche in quella necessaria, pertanto le norme che lo vedevano beneficiario di diritti di proprietà non gli davano alcuna garanzia contro una diversa volontà testamentaria.La scelta di attribuire un diritto “limitato” trovava giustificazione nella concezione romanistica di famiglia che ha permeato l’attività di codificazione del 1942 in ossequio all’antica concezione della famiglia fondata su vincolo di sangue. In quest’ottica desueta i beni venivano trasmessi esclusivamente ai discendenti in linea retta del capostipite e il coniuge era considerato un “estraneo” in quanto non partecipava al medesimo sangue del defunto.Attribuire una quota in piena proprietà significava pregiudicare l’unità del patrimonio familiare, esponendolo al rischio che venisse disperso o addirittura, che andasse ad arricchire un altro nucleo familiare.Per ovviare un tale pericolo il legislatore aveva attribuito al coniuge un mero diritto temporaneo, destinato come tale a estinguersi alla sua morte. Questa opzione normativa assicurava, i mezzi necessari per far fronte alle necessità della sua esistenza e al contempo garantiva l’integrità del patrimonio familiare, destinato a trasmettersi solo ai discendenti in linea retta.Tuttavia, la mutata considerazione della famiglia e gli sviluppi socio-culturali, rendevano non più giustificabile e anacronistica l’attribuzione di un mero diritto temporaneo.La riforma del diritto di famiglia ha riconosciuto al coniuge superstite, dal mero usufrutto, una quota di legittima in piena proprietà alla quale si cumulano i diritti di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la corredano, che il soggetto acquista ipso iure al tempo dell’apertura della successione. Ciò posto, divenuto titolare di una quota in piena proprietà il superstite viene ad assumere una posizione decisamente migliore soprattutto rispetto ai figli, vantaggio che non trova riscontro in altri ordinamenti europei: a conferma vi è la menzione al primo posto dei legittimari ex art. 536 c.c. e dei successori legittimi ex art. 565 c.c._Nell’attuale disciplina, infatti, la posizione accordata dal legislatore nella successione necessaria, presenta vantaggi sia in termini quantitativi, sia in termini qualitativi. Da un lato, il coniuge superstite consegue sempre, in piena proprietà, una quota almeno pari a quella dei figli e addirittura superiore se questi sono più di due; dall’altro, il medesimo ha la possibilità di cumulare, alla quota di legittima, l’uso e l’abitazione. Presupposto di tal attribuzione è che i beni i quali ne formano oggetto – casa adibita a residenza familiare e mobili che la corredano – fossero di proprietà del defunto o comuni al momento dell’apertura della successione.Ed è proprio alla luce di una nuova tendenza volta alla “depatrimonializzazione” del diritto civile che viene introdotta un’importante novità collegando il diritto successorio alla persona e rendendo desueta la precedente impostazione che poneva al centro del diritto delle successioni la proprietà, la famiglia e l’autonomia testamentaria.L’intento del legislatore pare, tuttavia, volto alla tutela e alla conservazione dell’ambiente domestico, solo in materia di successione necessaria, avendo inserito la disposizione che prevede l’attribuzione dei diritti di uso e abitazione tra quelle poste a tutela dei legittimari.Gli art. 581 e 582 c.c., che determinano la quota spettante al coniuge in sede di successione legittima nei vari casi di concorso, non contengono alcun riferimento ai diritti di cui al comma 2 dell’art. 540 c.c._ Un rinvio a quest’ultima disposizione è previsto dall’art. 584, comma 1, c.c., con riferimento alla posizione del coniuge putativo. Questa potenziale disparità di trattamento tra coniuge putativo e coniuge legato da un valido matrimonio, ha richiesto l’intervento della Corte costituzionale che, con C. cost. 5 maggio 1988 n. 527, così come richiamata dalle sezioni unite nella sentenza in oggetto, ha risolto la questione. In definitiva secondo la giurisprudenza, il mancato riconoscimento da parte degli art. 581 e 582 c.c. dei diritti di abitazione e uso non costituirebbe una lacuna di previsione, dovuta a un difetto di tecnica legislativa, ma sarebbe frutto di una precisa e consapevole intenzione del legislatore di escludere che i due diritti di godimento vitalizio competano al coniuge come autonomi diritti ab intestato, ovverosia in aggiunta alla quota devoluta ai sensi degli art. 581 e 582 c.c. Nella successione legittima, si è osservato, i due diritti spetterebbero al coniuge nella sua qualità di legittimario, pertanto se si apre la successione legittima, essi contribuiscono a configurare la quota del coniuge sotto il profilo meramente qualitativo.Ciò premesso, è esclusa una disparità di trattamento da parte del legislatore, d’altronde non sarebbe razionalmente ipotizzabile che il coniuge putativo riceva un trattamento migliore rispetto a quello legittimo. Secondo questo primo orientamento la menzione dei diritti di abitazione ed uso, nell’ambito della successione legittima, ben lungi dal rappresentare un lapsus normativo, è espressione della volontà del legislatore di evitare che il valore di tali diritti si cumuli alla quota ereditaria spettante al coniuge superstite.Un ulteriore conferma è data sul piano positivo, poiché l’art. 540, comma 2, c.c. prevede la riserva dei diritti di uso e abitazione al coniuge “anche quando concorra con altri chiamati”. Il concorso con altri chiamati ricorre non soltanto nella successione testamentaria ma anche nella successione ab intestato, da ciò si evince che il legislatore ha voluto attribuire i suddetti diritti anche ai successori legittimi. Il vero aspetto innovativo della sentenza, non riguarda l’applicazione dell’art. 540, comma 2, alla successione legittima, già da tempo, si è detto, dottrina e giurisprudenza propendevano per questa interpretazione estensiva, interessa invece, i criteri di calcolo dei due diritti.Premesso che in tema di successione necessaria, l’attribuzione dei diritti costituisce un legato ex lege in favore del coniuge, per cui questi può invocarne l’acquisto ipso iure, ai sensi dell’art. 649, comma 1, c.c. senza necessità di accettazione. Trattasi di legati di specie che attribuiscono al coniuge superstite due distinti diritti reali, l’uno di abitazione, da esercitarsi sulla casa già adibita a residenza familiare e l’altro di uso dei mobili che la corredano.La norma determina un incremento quantitativo della quota contemplata in favore del coniuge, in quanto i diritti si sommano alla quota riservata in proprietà.Quest’ultimo risulta al contempo erede, in quanto è devoluta al medesimo una quota di legittima, dell’entità stabilita dagli art. 540 ss. c.c., nonché legatario dei diritti di abitazione e uso.Secondo una dottrina minoritaria, i diritti di abitazione e uso, pur essendo qualificabili alla stregua di legati di specie, si acquisterebbero in deroga ai principi generali che governano la materia successoria, non già a titolo particolare, bensì a titolo universale.Qualora, invece, il coniuge sia erede in forza di una vocazione legittima le Sezioni Unite ritengono che i diritti di uso e abitazione debbano cumularsi alla quota come prevista dagli art. 581 e 582 c.c. secondo un meccanismo assimilabile al prelegato.Il prelegato è identificato con il legato “a favore di uno dei coeredi” e “a carico di tutta l’eredità”.Quanto al primo dei due aspetti risulta che il legato può essere a favore di un qualsiasi erede, testamentario o legittimo, che concorra con altri eredi della stessa specie o di diversa specie, e, quanto al secondo, che debbono considerarsi equivalenti l’ipotesi in cui manchi l’indicazione degli eredi onerati e quella in cui il legato sia espressamente disposto a carico di tutti gli eredi. Dunque, il prelegato consiste in un legato a favore di un erede e a carico dell’eredità e incide solo parzialmente sulla quota ereditaria del prelegatario.Ed invero, il formante dottrinario, pur senza una visione concorde, accetta la configurazione di prelegati ex lege, le due fattispecie più frequentemente individuate a tale proposito sono l’obbligo di collazione ex art. 737, comma 1, c.c., e i diritti del coniuge ex art. 540, comma 2, c.c.Tali premesse sono utili per comprendere l’orientamento della Suprema Corte, la quale ha stabilito che i diritti di abitazione e uso non sono ricompresi nella quota ereditaria spettante al coniuge superstite nella successione ab intestato, dovendosi cumulare alla quota di cui agli art. 581 e 582 c.c. Pertanto il valore capitale di tali diritti attribuiti al coniuge viene detratto dalla massa ereditaria, che poi viene divisa tra tutti coeredi secondo le norme sulla successione legittima non tenendo conto di tale attribuzione.L’altro orientamento, richiamato dalle sezioni unite, attraverso il rinvio all’art. 553 c.c., norma di collegamento tra successione legittima e necessaria, che dispone, in caso di concorso di legittimari con altri successibili, la riduzione proporzionale delle porzioni di questi ultimi nei limiti in cui è necessario per integrare la quota riservata ai legittimari è ritenuto non convincete dalla Corte stessa. Con il richiamo all’art. 553 c.c., nella successione legittima infatti, non si pone un problema di incidenza dei diritti degli altri legittimari per effetto dei diritti di abitazione ed uso al coniuge e per l’effetto le disposizioni previste dalla norma non possono trovare applicazione in tema di successione intestata.Ai fini del calcolo dei diritti di uso ed abitazione, avendo sempre come riferimento la volontà del legislatore contenuta nella l. n. 151, cit. di attribuire al coniuge superstite una specifica tutela, occorrerà stralciare il valore capitale di essi secondo modalità assimilabili al prelegato, per poi dare luogo alla divisione tra tutti gli eredi, secondo le norme sulla successione legittima, della massa ereditaria dalla quale viene detratto il suddetto valore, rimanendo invece compreso nell’asse il valore della nuda proprietà della casa familiare e dei mobili.